Cosa Resta, Lecce – Fiorentina

Un Lecce a due tempi, che ama la ripartenza dal fondo e che alla fine ribalta tutto, in un vero e proprio moto d’org(u)glio

Una serata assurda, in cui il Lecce tocca il fondo, prende lo slancio e risale. Tutto, in poco più di 90 minuti: una metafora esatta di cosa in realtà sia, la serie A, per questa terra. Vediamo cos’altro resta della folle serata del Via Del Mare.

A DUE TEMPI

Ci sono squadra che sembrano un diesel, per come approcciano con calma e poi escono alla lunga. Altre che, silenziose, sornione e potenti, si potrebbero paragonare ad una vettura elettrica. Il Lecce no, il Lecce è più un motore a due tempi.

Quello del primo tempo, che spinge come un matto, segna un gol, colpisce due pali e stordisce (ma non finisce) la viola come aveva già fatto con il Genoa a Marassi. E poi c’è quello del secondo tempo, che parte male, malissimo, che rivede i fantasmi del passato e ci va a braccetto. Questa volta, però, alla fine il due tempi giallorosso si riprende, proprio quando ormai sembrava tutto perduto e ti eri già convinto di tornare a casa a piedi.

Ma i due tempi sono così, leggeri e potenti, affidabili e dinamici, in grado di garantire, con la giusta miscela, prestazioni che neanche ti saresti immaginato.

E il Lecce è così, esattamente, a due tempi.

RIPARTENZA DAL FONDO

Uno dei luoghi comuni più diffusi ricorda che, una volta toccato il fondo, si può solo risalire. Ripartire dal fondo, però, nel calcio degli ultimi anni, è diventata perfino una scelta, una situazione di uscita palla dal baso che, secondo i guru, aiuta la costruzione di gioco tenendo alta la squadra avversaria.

Una scelta rischiosa, che il Lecce, abituato a ripartire dai bassi fondi com’è, prende spesso durante le partite, anche quando la squadra avversaria alta lo è fin troppo, fino a farle ritrovare tra i piedi un pallone regalato dal cielo per il 2-1. Un momento difficile, duro, specie per chi se l’è cercata ed è, come al solito, causa del suo mal, in un inizio secondo tempo horror che sta diventando classico quanto preoccupante.

O forse no, perché, in realtà, al Lecce, ripartire dal fondo piace da matti.

MOTO D’ORG(U)GLIO

Sono state settimane dure per questa squadra. Tra calciomercato latitante, 1 punto in 6 partite e capitani partenti le certezze che crollavano a vista d’occhio, non solo nei tifosi, ma anche in un gruppo fatto di giovani e di leader silenziosi.

Ci si aspettava una reazione, uno scatto in grado di ribaltare il banco e far capire che questa squadra ci crede ancora, e che può dare molto più di quanto fatto in avvio di 2024. E quale occasione migliore di una partita da montagne russe, dove il Lecce è artefice e colpevole di fortune e sfortune, per ribadire il carattere di una squadra che respira la passione e le tensioni della sua terra.

E quale uomo, migliore, se non il manifesto di un cantera giallorossa campione d’Italia, simbolo più alto dell’orgoglio di questa società verso le sue scelte, il suo lavoro, il suo credo più assoluto nei giovani, nella patrimonializzazione, nella prospettiva.

Un impulso ancestrale, quando tutto sembrava perduto. Un vero e proprio moto d’org(u)glio

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