La Puglia poteva diventare la prima ad avere un testo che normasse le procedure di suicidio assistito sul suo territorio come previsto dalla sentenza 242/2019 sul caso Cappato/Antoniani. Invece, martedì 4 ottobre il Consiglio regionale pugliese ha bocciato la proposta di legge che era stata presentata dal consigliere regionale del Pd, Fabiano Amati, perché non farebbe parte del programma di governo stilato nel 2020. Bocciatura oggi sostenuta anche dal Movimento5Stelle che ritiene che il tema non sia di competenza regionale.
“Noi siamo sensibili e favorevoli al diritto del fine vita, ma i fatti impongono all’istituzione regionale un passo indietro: non possiamo legiferare in una materia in cui è lo Stato a dover costruire un impianto generale perché è impensabile che ci siano discipline difformi da Regione a Regione” hanno dichiarato consiglieri regionali del gruppo «Con Emiliano» Giuseppe Tupputi, Stefano Lacatena, Alessandro Delli Noci, Gianfranco Lopane e Alessandro Leoci. «Il tema – dicono – è da affrontare in sede nazionale senza se e senza ma perché lo Stato deve costruire una normativa uniforme. Si tratta di un diritto fondamentale, del primo diritto della persona e una Regione non può assurgere al ruolo di legislatore in questo tema».
Anche il Movimento 5 Stelle è sulla stessa linea del partito di Emiliano: «Non può essere una singola Regione a legiferare su una materia così delicata come quella del «fine vita». Siamo assolutamente consapevoli che in Italia ci sia un vuoto normativo sulla questione che deve essere colmato, ma a farlo deve essere il legislatore nazionale, il solo competente a legiferare su questa materia», ha dichiarato.
«Abbiamo votato contro la proposta di legge presentata – spiegano dal M5S – perché riteniamo che la stessa sconti concreti profili di incostituzionalità».
“La legge regionale pugliese – spiega Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni– che pure non ci piaceva del tutto e ci lasciava insoddisfatti, sarebbe dovuta servire a definire garanzie di procedure per pazienti, medici e sistema sanitario in casi come quello di Federico Carboni che, nelle Marche, ha dovuto aspettare due anni per poter avere accesso al suicidio assistito nei modi stabiliti dalla Consulta”.