Alessandro Cascavilla, 24 anni, pugliese, innamorato dell’economia. Diplomato con lode in ragioneria, carriera universitaria all’UNIVPM di Ancona con triennale in Economia e Commercio conclusa con il massimo dei voti, Laurea Magistrale in International Economics and Commerce conclusa con lode, Master in Spagna in Economics, attualmente dottorando in Economics all’Università di Bari. Lavora come Junior Economist all’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani delll’Università Cattolica di Roma, presieduto dal professore Carlo Cottarelli. Attivo negli anni sui social, ha creato la più grande community di studenti universitari di economia “Economia del suicidio”, e un profilo personale in cui fa divulgazione di politica economica “ale.conomista“, coinvolgendo un seguito di oltre 150.000 follower. Sta per lanciare un blog di economia e attualità su cui non vuole lasciar spazio a disinformazione e incompetenza. Tiene convegni e webinar in diverse università italiane su economia e digitale, e lezioni in corsi di formazione e master su personal branding e comunicazione digitale.
Ciao Alessandro. Felici di averti su Salento News. Com’è nata l’idea di “Economia del Suicidio”?
«Economia del suicidio nasce nel 2016 durante il mio secondo anno di Università, mentre preparavo l’esame di macroeconomia. Da un lato credevo fosse assurdo che il privilegio di conoscere come funzionasse l’intero sistema economico dovesse rimanere sconosciuto sui social, dall’altro sapevo che l’economia non è una disciplina divertente. Perciò, ispirandomi alla pagina di Ingegneria del Suicidio già presente su Facebook, ho deciso di aprire questa pagina con l’obiettivo di condividere la cultura economica in termini ironici, in modo da farla arrivare a più persone possibile e alleggerire allo stesso tempo lo studio»
Credi che la pagina abbia aiutato i ragazzi ad approcciarsi in un modo diverso all’economia?
«Probabilmente sì, perché se prima era “da sfigati” parlare di economia anche al di fuori delle aule universitarie, ora è diventato molto più di moda. Ricordo che prima di aprire la pagina, ero l’unico tra i miei amici in università a fare battute sull’economia e collegarla con tutto ciò che mi accadeva. Ma mi sembrava assurdo che ero il solo a vedere l’economia in quel modo, che tutto quello faceva ridere solo me, e infatti questo mi ha spinto a far partire il progetto. Ora posso dire finalmente che non ero l’unico, ma grazie al supporto del mio socio Daniele Vezza, siamo arrivati ad essere oltre 150.000 tra instagram e facebook. Ironizzare sui temi economici e proporre quiz costantemente tramite la gamification, fa rimanere impressi alcuni concetti che altrimenti verrebbero rimossi il giorno dopo aver passato l’esame, quindi penso che anche in questo senso i ragazzi abbiano un approccio molto diverso rispetto a prima»
Dopo un po’ di anni dalla creazione di “Economia del suicidio” hai creato una pagina indipendente dal titolo Ale.conomista. Come è nata l’idea?
«L’idea c’è sempre stata, la preparazione no. Ho deciso di aprire la mia pagina personale di divulgazione economica verso la conclusione del mio percorso magistrale, mentre ero in viaggio per dare l’ultimo esame che mi avrebbe permesso di prendere la doppia laurea magistrale in Spagna. Ancora una volta, l’esame da preparare che mi ha ispirato è stato Macroeconomia, questa volta però avanzata (Advanced Macroeconomics). Ho sempre creduto che per parlare di economia non è abbastanza una sola triennale, ma c’è bisogno di conoscenze e competenze approfondite. A partire dall’ultimo anno di magistrale ho cominciato a rispondere alle curiosità degli studenti di economia con la rubrica “Ask Alex” su Economia del Suicidio, e da lì ho iniziato a percepire che quello che facevo era importante. Sono sempre stato appassionato di economia, politica e attualità, e mi è sempre piaciuto collegare ciò che studiavo con quello che accadeva poi nel mondo. Così, quando credevo di aver raggiunto un livello “sufficiente” di conoscenze, ho deciso di lanciarmi in questo progetto di divulgazione economica per condividere tutto quello che sapevo, e in meno di un anno ho raggiunto oltre 30 mila persone. Data la forte interazione e vicinanza con chi mi segue, ho deciso di aprire un blog per non lasciar spazio a incompetenza e disinformazione su temi di economia e attualità. Nei prossimi giorni sarà già disponibile sul mio nuovo sito www.ale-conomista.it»
Pensi che i tuoi coetanei ti considerino una sorta di “leader”?
Cosa provi quando ricevi messaggi di sostegno ed approvazione da persone della tua stessa età?
«Ricevo ogni giorno decine di messaggi di supporto che mi spingono ad andare avanti. Credo che più che un leader, le persone che mi seguono mi considerino un loro pari che riesce a dare voce alla voglia di non accontentarsi e di non essere rappresentati dall’incompetenza. Credo di essere solo la punta di un iceberg, che è quello rappresentato da tutti noi giovani della nuova generazione, quella che probabilmente dovrà sforzarsi per lavorare e inventare molto più delle altre, per ovviare a errori e scelte sbagliate fatte in passato. Come successo con Economia del Suicidio (quando credevo di essere l’unico a vedere l’economia in quel modo), il fatto di ricevere messaggi di approvazione mi fa capire di non essere l’unico, ancora una volta, a vedere la realtà in questo modo. E tutto questo mi spinge a fare sempre di più».
L’economia è un mondo affascinante in ogni suo aspetto. Cosa ti ha fatto innamorare della materia?
«La sua imprevedibilità. Rispetto alle altre scienze “esatte”, come la matematica, la fisica ecc., l’economa è caratterizzata da un certo grado di imprevedibilità. E’ per questo che mi affascina il comportamento degli agenti economici, ma anche il modo con cui si possono risolvere i problemi da parte dei policy makers. Per me l’economia è l’unica scienza che ti permette di sognare. Ed è per questo che sto continuando a studiarla con un dottorato»
Cosa possono fare i ragazzi oltre a studiare? Credi che l’esperienza si acquisisca sul campo?
«Studiare va considerato come un lavoro a tempo pieno, ma non per questo deve limitare la possibilità di fare esperienze. Studiare e farlo per bene è la base, ma poi c’è da fare tanto altro. Viviamo in un mondo completamente globalizzato e digitalizzato, dove con un PC è possibile diventare e imparare ciò che si vuole, lavorando quando e come si vuole. Innanzitutto è necessario non isolarsi, ma fare molta attività associativa all’interno delle Università. Questo ti dà la possibilità di sviluppare delle soft skills che saranno molto utili per affrontare i primi lavori. Oltre a questo si può avviare un proprio progetto personale ormai a costo zero (come nel mio caso), o anche solo collaborare per progetti già esistenti. Per non parlare della formazione a distanza che ti permette di imparare ad utilizzare tools che potrebbero risultare utili per affrontare al meglio il mondo del lavoro. Credo che ormai l’esperienza vada acquisita sulla base dell’intraprendenza di ognuno di noi, e che le aziende si stiano spostando sempre di più verso una valutazione delle soft skills piuttosto che di quelle hard»
Cosa pensi della situazione attuale dell’economia italiana, devastata dal Coronavirus?
«La nostra economia soffriva già da tempo. Abbiamo una produttività del lavoro stagnante da 20 anni, e il nostro livello di reddito (pre codiv) è pari a quello di circa 20 anni fa. Evidentemente c’è qualche problema alla struttura dell’economia che andrebbe rivista. Il Coronavirus rappresenta uno shock imprevedibile ed esogeno che ha portato a diverse crisi, a partire da quella dell’offerta date le misure di lockdown, e di domanda dato il cambio dei comportamenti da parte dei consumatori. Il fatto che lo shock sia stato simmetrico, nel senso che non ha colpito solo noi ma tutte le economia del mondo, non ha fatto emergere quelle che sarebbero state altrimenti le criticità della nostra situazione finanziaria, caratterizzata da un debito che quest’anno, in rapporto al PIL, è previsto essere tendente al 160% da parte della Commissione Europea»
Credi che la misura adottata dall’Ue in termini di Recovery Fund sia giusta? Potrebbe far bene concretamente all’Italia?
«Assolutamente si. Il Recovery Fund, chiamato Next Generation EU da parte della presidente della Commissione Europea, rappresenta un grande passo in avanti nell’integrazione economica europea. Avere la possibilità di poter emettere titoli del debito comuni, fa in modo che la zona euro si avvicini ancora di più a quello che è in concetto di OCA (Optimal Currency Area). All’Italia potrebbe far molto bene per due ragioni principali: 1) se non avessimo un aiuto dall’esterno, dovremmo prendere soldi sui mercati finanziari, aumentando il tasso d’interesse da pagare su nuovo debito pubblico. Non è difficile capire che più limitiamo questa leva, meglio è per tutti noi; 2) La parte più consistente dell’intervento del recovery fund è prevista proprio per l’Italia (23%), e una gran parte di questo è previsto sotto forma di grants, ovvero sovvenzioni a fondo perduto. Questo, insieme anche ai prestiti che sarebbero forniti a tasso agevolato, non provocherebbero un aggravio dei conti pubblici. Può fare molto bene soprattutto per investimenti in cui il settore pubblico è essenziale, come la digitalizzazione e rendere l’economia più sostenibile. In Italia abbiamo bisogno di entrambe le trasformazioni dell’economia: più digital e più green»
Secondo te l’Europa è stata solidale nei confronti dell’Italia in questa emergenza causata dal coronavirus?
«Si. L’Europa ha messo già a disposizione oltre mezzo miliardo di risorse per i Paesi membri tramite il programma Sure (100 miliardi) per la cassa integrazione, prestiti a tasso agevolato dalla Banca Europea per gli Investimenti (200 miliardi), e la linea di credito per spese sanitarie dirette e indirette (senza condizionalità!) a tasso di poco superiore allo 0,1%, fino al 2% del Pil di ogni paese, ovvero 240 miliardi in Europa. Inoltre c’è il Recovery Fund che è stato annunciato ma il suo processo per l’attuazione sarà ancora lungo, ma che comunque è di 750 miliardi di euro. Stiamo dando per scontato inoltre il ruolo della BCE che per quest’anno garantirà oltre 220 miliardi di acquisti di titoli in Italia, e sta attuando il PEPP per acquisti di titoli nel settore pubblico e privato di 750 miliardi di euro in tutta Europa. Le istituzioni sembra stiano andando nella giusta direzione, quella della solidarietà. Rispetto alle crisi passate non c’è paragone. Vorrei ricordare quello che succedeva non più di 9 anni fa, quando nel 2011 la BCE non poteva nemmeno intervenire sui mercati, fino al famoso “Whatever it takes” nel luglio 2012 dell’allora presidente Mario Draghi. E’ normale avere dei “blocchi” da parte di alcuni paesi che starebbero bene (attualmente) anche da soli, ma è proprio a questo che serve un’Europa unita e forte. Bisogna fare un passo tutti insieme, e capire che solo in questo modo siamo tutti assicurati»
C’è chi pensa che per risolvere i suoi “problemi” economico l’Italia dovrebbe abbandonare l’Europa e tornare addirittura alla lira. Cosa ne pensi di queste esternazioni?
«Chi mi segue già sa che sono abbastanza contro entrambe le affermazioni, ovvero l’uscita sia dall’Europa che dall’Euro. Uscire dall’Europa quando si è in una situazione di surplus commerciale principalmente con i paesi Europei (Germania e Francia) non mi sembra assolutamente una strategia sensata. Uscire dall’Europa significherebbe perdere tutti i benefici derivanti dal mercato unico europeo, dal quale noi godiamo parecchio. Non possiamo neanche pensare di “fare tutto in casa nostra”, perché la nostra attività produttiva dipende da import di risorse energetiche. Che senso mettere dei limiti all’export in Europa mantenendo pari l’Import? Economicamente non c’è l’ha un senso. Più che soluzione sarebbe autolesionismo. Come il fatto di voler tornare alla lira. Sulla base di cosa verrebbe dato il valore a questa nuova moneta, se il nostro debito è pari quasi al 160%, di cui il 30% è detenuto da investitori esteri? Perché questi ultimi dovrebbero accettare di essere ripagati in lire, una valuta che già storicamente era sopravvalutata e molto volatile? Nessuno vorrebbe detenere lire rispetto all’euro, che sarebbe comunque utilizzata in tutti gli altri paesi europei. Perciò semplicemente si venderebbero lire per acquistare euro o si venderebbero titoli italiani (ripagati in lire) per avere quelli, ad esempio, tedeschi ripagati in euro. Questo porterebbe ad un deflusso di capitali e una svalutazione continua della nostra lira, che causerebbe inflazione e una situazione di instabilità molto simile a quella che si sta verificando in Argentina, dove esiste un cambio del Pesos informale (blue dollar) e ci sono limiti all’export per via del deflusso di Pesos rispetto ai dollari (cepo cambiario). Considerando tutto questo e quello che ci ha insegnato la storia, non credo che sia una buona idea»
Come credi che l’Italia possa rialzarsi da questa crisi economica?
«Non sarà facile, ma si può fare. Bisogna modificare la struttura della spesa pubblica e del sistema produttivo del Paese. C’è bisogno di maggiore lungimiranza nelle scelte, tramite investimenti pubblici che possano portare ad una maggior produttività dei fattori produttivi. Credo che attualmente sia necessario investire in infrastrutture tecnologiche per stimolare domanda e offerta aggregata, per fornire degli standard di connessione omogenei in tutto il territorio italiano per creare le basi per sfruttare al meglio i cambiamenti che indirettamente il Covid ha causato, ovvero la transizione verso lavoro e istruzione a distanza. Tutto dipende dalla volontà nelle scelte di politica economica. Finora siamo stati vittime di quella che è conosciuta come “teoria del ciclo politico”, che ha portato benefici, soprattutto elettorali, nel breve senza alcuna visione di lungo periodo, comportando diversi fallimenti dello Stato. Come anticipavo, ci sarebbe bisogno di una revisione della struttura economica, e per farla è necessario modificare la struttura della spesa che inevitabilmente porterebbe sacrifici nel breve per alcune parti della popolazione, per avere dei benefici nel lungo. Per farlo ci vorrebbe almeno una legislatura completa che duri almeno 5 anni, nella quale si mettono in chiaro gli spazi di manovra dell’Italia e quello che si vuole fare. Solo così potremo pensare di competere nelle trasformazioni che l’economia sta richiedendo, altrimenti saremo sempre vittime del populismo. Questa è una cosa che politicamente non è fattibile perché la politica si basa sul consenso elettorale, e nessun partito avrebbe interesse nel provocare dei sacrifici per i suoi elettori. In ogni caso, con riferimento alla crisi che ci sta colpendo, dobbiamo stare attenti a spendere bene le risorse che abbiamo a disposizione, e che arriveranno in futuro tramite i programmi dell’Unione Europea. Non possiamo permetterci nessun tipo di spreco, altrimenti saremmo il primo paese a finire di nuovo sotto possibili attacchi speculativi. Le istituzioni, a differenza del passato, sono dalla nostra parte. La presidente BCE ha già rassicurato i mercati dicendo che anche se in media si perderà in UE tra 8 e 12%, non ci sarà una crisi dell’euro come nel 2011, e l’ultima Debt Sustainability Analysis di BCE, MES e Commissione Europea conferma che tutti i debiti dei paesi dell’area euro sono sostenibili nel medio periodo. Ma non dimentichiamo che nel medio periodo è molto rilevante l’attività di supporto con operazioni di mercato aperto della BCE. Che succederà quando queste, inevitabilmente, cesseranno di esistere?»
Abbiamo imparato a conoscere Ale.conomista. Ma chi è Alessandro Cascavilla?
«Sono quello che si vede sui social: un giovane economista a cui piace fare ironia e autoironia, che prova a mettersi in gioco e a cui non piace l’informazione approssimativa. Oltre alla mia attività professionale e sui social passo le mie giornate suonando la chitarra, a volte faccio finta di saper suonare il pianoforte, ci tengo a stare bene fisicamente e mentalmente, quindi mi alleno e cerco di conciliare tutti i miei impegni con un po’ di sana attività sportiva, e soprattutto con abbastanza ore di sonno. Prima delle limitazioni da Covid ho sempre viaggiato e continuerò a farlo».