Un tempo di grande Lecce, crollato giusto il tempo di mandare all’aria tutto (o quasi). Questo, e qualcos’altro, restano di Lecce – Parma.
Solo 3 minuti
Le partite di calcio da qualche tempo tendono a diventare infinite, a recuperare l’irrecuperabile, ad estendere secondo per secondo ogni istante più concedere alla magia del calcio tutto il tempo necessario per esprimersi.
Poi alla fine, però, questo sport tende sempre a manifestarsi per quello che è, nell’inevitabile leggerezza di frammenti di tempo che determinano il tutto, impietosi verso tutto ciò che è stato il resto.
È mancata un po’ di maturità, di esperienza, forse, ma anche quel sano principio di economia sostenibile che da tempo ci invita a non sprecare nulla, specialmente il tempo.
“I soli tre minuti” di Giuliano Sangiorgi e i suoi sono sicuramente più romantici, ma questi, a modo loro, sono molto più segnanti.
Ma restano, impetuosamente, soltanto 3 minuti.
La dura legge dell’ ex
Nel calcio è una sentenza.
Inevitabile, inesorabile, impietosa.
Non importa quanto tempo l’ ex compagno abbia a disposizione, l’ andamento della partita, le chance sprecate o le sue qualità.
La dura legge dell’ ex trova sempre il modo di colpire, affondare il colpo là dove fa più male, gonfiare proprio quella rete che, fino a poco tempo fa, era il suo fortino da difendere.
E a poco servono mancate esultanze, mani protese verso le scuse, avvilimento che nasconde il sorriso.
Lei colpisce sempre, ed Almquist non si poteva certo sottrarre.
È la dura legge dell’ ex.
Ap_punto
Partite come quella di ieri devono, necessariamente, segnare un punto nella stagione (non solo per la classifica).
Devono diventare tappe segnanti di una rotta, se non altro perché sono fondamentali in quanto ad insegnamenti colti per poter poi proseguire al meglio verso i propri orizzonti.
Il Lecce ieri ha messo in campo una prestazione magistrale, soprattutto per 60 minuti, vanificata, in realtà, più per mancanze sue che per bravura degli avversari.
Una squadra, unita ed unica verso il proprio obiettivo, non può ascoltare il proprio ego quando è sola davanti al portiere. Dovrebbe ascoltare, piuttosto, l’anima di uno stadio che soffia perché quel pallone finisca in rete.
Nulla di grave, per carità. Ma è importante che ne rimanga il segno.
Un Ap-punto.