Con la maglia dei giallorossi ha disputato ben 124 partite, segnando 59 goal. Figura al 4° posto della classifica dei marcatori di sempre del Lecce e al 1° posto, insieme a Mirko Vucinic, in quella relativa alla Serie A con ben 30 goal. Per storia ed empatia ha legato indissolubilmente il proprio destino a quello del Lecce. Infatti, attualmente è allenatore in seconda della squadra primavera giallorossa di mister Coppitelli. In esclusiva per Salento News l’icona dell’U.S. Lecce Ernesto Javier Chevanton.
Javier, lei è un’icona per il calcio di questo territorio: tanti anni con la maglia giallorossa, un rapporto straordinario con al città, un ambiente che la ama e di cui spesso è stato capopopolo e trascinatore.
Che cosa ha trovato qui nel Salento il ragazzino partito dal Sudamerica che l’ha fatto diventare la sua “seconda casa”?
“Penso che è stato il destino. Credo molto nel destino ed è vero che quando vengo acquistato dal Lecce ero in Coppa America con la nazionale in Uruguay, in Colombia, non conoscevo niente del Lecce. Arrivo a Milano e vado direttamente a trovare la squadra in ritiro, quando torno a Lecce ad agosto, casualità o destino, il giorno della festa di Sant’Oronzo vado a fare il mio primo goal in Italia, un goal un po’ particolare contro il Parma, faccio un pallonetto proprio sotto la Curva Nord e io dico sempre che in un’altra vita sono nato qui a Lecce“.
“Non ho mai tolto la maglia del Lecce”
La sua storia con la maglia giallorossa vive stampata nelle emozioni dei cuori dei tifosi salentini ma anche in numeri straordinari conservati negli annali di questa squadra. Noi tifosi ne abbiamo “goduto” dall’esterno, ma cosa significa vivere tutto ciò da protagonisti con la maglia giallorossa?
“Non tanti anni fa sempre parlando del Lecce, ho detto che ho avuto la fortuna di indossare delle magliette importanti come quella del Monaco o del Siviglia, dove ho avuto la fortuna di vincere cose importanti, ma non ho mai tolto la maglia del Lecce.
Non l’ho mai tolta, ho sempre dato il massimo, mi sono legato smisuratamente alla città, alla gente, perché io mi nutro del loro affetto e passione ed è quello che mi portava a spingere sempre di più per ripagare l’affetto che mi davano e continuano a dare. Ho dato tutto quello che avevo, anzi sicuramente ho dato di più al Lecce rispetto alle altre squadre”.
La sua esperienza al Lecce però non si ferma al passato, ma rivive anche nel presente con il suo nuovo ruolo di allenatore in seconda della squadra primavera di mister Coppitelli.
Come sta andando questa nuova avventura “dall’altro lato” del campo e quali sono i brividi, le sensazioni e le emozioni che si provano da questa nuova prospettiva, sicuramente diversi da quelle di un gol segnato sotto la curva Nord?
“Le emozioni per me sono le stesse di quando giocavo, perché appartengo al Lecce, mi sento parte del Lecce, del leccese, della società e dei tifosi. Prima davo il massimo in campo, ora devo raddoppiare lo sforzo come allenatore per cercare di migliorare ed educare i ragazzi e soprattutto non dare niente per scontato e rispettare la maglia”.
“Tutti i ragazzi che indossano anche per un secondo la maglia giallorossa devono rispettarla“
“Io l’ho sempre rispettata: ho pianto per il Lecce, ho gioito per il Lecce e quindi devono dare il 110% per questa maglia”.
Il Lecce è la squadra più giovane del campionato di serie A con un’età media di 23 anni.
Una scelta importante da parte della società del presidente Saverio Sticchi Damiani e dell’area tecnica capitanata dal Direttore Pantaleo Corvino sulla base di un progetto importante di “patrimonializzazione” che mira a garantire un futuro roseo a questa squadra attraverso un presente comunque vincente.
“La Serie A di ora è un campionato completamente diverso rispetto a quello che ho giocato io, ora si è abbassato molto il livello“
Cosa significa per lei, che è stato uno dei giovani più importanti lanciati nel grande calcio da questa società, affrontare il massimo campionato con una squadra così costruita? Quali sono i rischi e quali le opportunità per questi ragazzi?
“Credo che la società ha fatto un lavoro straordinario. La piazza giallorossa è molto esigente e il Lecce ha sempre adottato questa politica di puntare sui giovani, soprattutto in questo periodo con il ritorno del direttore Corvino, che ha continuato con questa filosofia e in futuro sicuramente ci saranno i risultati.
La Serie A di ora è un campionato completamente diverso rispetto a quello che ho giocato io, si è abbassato molto il livello, quindi meglio ancora perché i giovani hanno più possibilità di mettersi in mostra, quindi mi auguro con tutto il cuore che tra tre/quattro anni questi giovani arriveranno ad essere maturi per fare un grandissimo campionato”.
Come vede la corsa salvezza di quest’anno?
“E’ un campionato, come detto prima, in cui il livello si è abbassato molto: ci sono molti meno campioni, a differenza di prima. Adesso puoi giocartela con tutte le squadre, anche contro le big. Puoi vincere e perdere con qualunque squadra.
E’ vero che siamo abituati a soffrire, quando sono arrivato io nel 2001 la prima cosa che mi hanno detto in ritiro è stata: “Noi soffriamo fino all’ultimo minuto dell’ultima partita in campionato” ed è vero.
E poi il tifoso del Lecce non è mai mancato per la squadra, nemmeno nei momenti più brutti, quando le cose non andavano bene e lui c’è stato sempre. Io ho avuto la fortuna di giocare in altre squadre ma a Lecce è tutta un’altra storia.”
“Il mio sogno era finire la mia carriera con il Lecce. Non mi hanno dato la possibilità di farlo, ma credo che me lo meritavo perché ho sempre dimostrato attaccamento alla maglia”
Come abbiamo detto in apertura a Lecce ha messo “radici”: quanti di quei sogni di giovane uruguaiano ha realizzato e quanti, e quali, ancora sente di dover realizzare per lei, per questa città e per la sua gente?
“I sogni da bambino credo di averli realizzati tutti, tranne il mondiale. Avevo un sogno che purtroppo non ho potuto realizzare, cioè finire la mia carriera con il Lecce, quello è stato un sogno mancato. Non mi hanno dato la possibilità di farlo, ma credo che me lo meritavo perché ho sempre dimostrato attaccamento alla maglia ma sono cose che succedono.
Ho sempre pensato di far conoscere il Lecce nel mondo e penso di esserci riuscito. Prossimo obiettivo e far diventare campioni i ragazzi del settore giovanile”.
Anche Giacomazzi ha iniziato un percorso nello staff di Daniele De Rossi alla Spal, vi siete sentiti?
“Noi siamo fratelli. Abbiamo fatto un percorso insieme e siamo stati insieme sempre. L’anno scorso quando Corvino mi ha chiesto di prendere lui come allenatore principale dell’under 15 mi sarebbe piaciuto fare una coppia con lui, ma purtroppo era impegnato a Malta; lui è una persona molto diretta, quindi mi ha detto: “Mi dispiace, mi sarebbe piaciuto pure anche a me, però ho questo incarico e ho dato la parola e devo continuare”. Sono contento per lui perché è un ragazzo molto preparato ed intelligente. Gli auguro tutto il bene del mondo perché se lo merita assolutamente” .
“Il Mister De Canio non mi voleva, sono stato umiliato in casa mia”
Il nostro podcast “Intervengo qui da Lecce” è ispirato al famoso coro, la famosa frase del cronista, che ricorda quel meraviglioso momento del suo gol al Napoli /’8 Maggio 2011 nella bolgia del Via del Mare: che ricordi ha di quel momento?
“Quella stagione è stata molto difficile, perché il Mister De Canio non mi voleva o non gli stavo simpatico o magari viveva un po’ l’ombra dell’affetto che la gente aveva verso di me, so soltanto che sono stato umiliato in casa mia, contro il Bologna perdendo una partita 1-0 e dopo 10 minuti mi fece uscire.
Nonostante questo, mi sono comportato sempre bene, da professionista. In quell’anno mi sono allenato sempre bene, con il sorriso e comunque quell’anno mi ha premiato con il goal più importante della stagione a Parma al 90’, il goal contro il Napoli.
Dovevo andare via a gennaio e il mister mi chiamò e mi chiese di non andare perché ero importante per il gruppo e per la squadra, ma la partita subito dopo la chiusura del mercato, nemmeno mi convocò. Sono stato sempre in silenzio e non ho mai detto niente. C’è un’immagine molto bella nella partita contro il Napoli, cioè l’abbraccio con Gioaco (Giacomazzi, ndr): ci siamo seduti sul campo.
“Ho sofferto tanto, tornavo a casa e piangevo di rabbia. Il mister quell’anno non ha solo mancato di rispetto a me, ma anche a tutta la gente”
Mi è stato molto vicino in quell’anno, ho sofferto tanto, tornavo a casa e piangevo di rabbia, però sono uno che pensa che se dà sempre il massimo prima o poi viene ripagato. Il mister quell’anno non ha solo mancato di rispetto a me, ma anche a tutta la gente e io ho risposto con i fatti perché non potevo mancare di dare rispetto alla gente.
Ora spero di dare ancora tanto a questa squadra, alla società, alla gente che mi ha dato tanto e non sono sicuramente ancora riuscito a ripagarla del tutto“.
Guarda l’intervista integrale a Javier Chevanton qui: