Dai riti religiosi alle processioni solenni, dalle antiche tradizioni culinarie ai rituali folkloristici, ci sono così tanti elementi da esplorare e scoprire… nei pittoreschi paesini del Salento, la Settimana Santa è vissuta con una profonda devozione e una ricca varietà di riti e celebrazioni che si tramandano da generazioni.
Proprio per questo, il nostro scarcagnulu, rientrato dalle lunghe vacanze presso i suoi zii d’America, ha deciso di riprendere il suo zaino ed accompagnarci in questo viaggio affascinante mentre esploriamo le tradizioni uniche e coinvolgenti che rendono la Settimana Santa nel Salento un’esperienza indimenticabile.
Tra storia e magia: i riti religiosi della Settimana Santa nel Salento
Nel cuore del Salento, la Settimana Santa si celebra con intensa devozione e si ricollega a tradizioni secolari. Il Giovedì Santo segna l’inizio solenne dei riti della Settimana Santa, culminando con la messa in “Coena Domini”. Questa celebrazione è particolarmente significativa poiché commemora l’istituzione dell’Eucaristia e include il tradizionale rito della lavanda dei piedi, in ricordo dell’umiltà e del servizio di Gesù verso i suoi discepoli.
Inoltre, nel corso di questa giornata, si procede all’allestimento degli Altari della Reposizione nelle chiese, luoghi di profonda devozione popolare noti anche come ‘Sepolcri‘: gli altari sono ricoperti con drappi viola o bianchi, fiori, candele, croci e i tipici “sibburchi”, ossia cereali fatti crescere in un luogo buio. La tradizione vuole che ci si debba recare ad almeno sette chiese diverse, o comunque a rendere visita ad un numero dispari di sepolcri. Ogni chiesa presenterà il proprio sepolcro scegliendo un tema diverso e ciò crea anche curiosità nei visitatori che apprezzano in modo diverso ogni sepolcro proprio sotto l’aspetto artistico.
Durante il Venerdì Santo, invece, sfila la Processione con il corpo di Cristo deposto dalla Croce e la statua dall’Addolorata, lungo le strade di ogni centro abitato del Salento.
Tra le numerose, il nostro scarcagnulu ci porta a Gallipoli, in un appuntamento imperdibile per chi si trova in provincia di Lecce.
La “Processione dei Misteri”, chiamata anche “L’Urnia”, inizia il venerdì pomeriggio e si protrae fino a notte fonda. Durante il corteo funebre, sfilano i penitenti, uomini incappucciati scalzi e vestiti con una tunica rossa o bianca, hanno in mano una “trozzula”, al capo una corona fatta di rami secchi e alcuni di essi trascinano una grande croce in legno.
Appartenenti alle diverse confraternite gallipoline, essi circondano durante il corteo delle bellissime statue realizzate in cartapesta, che simboleggiano le tappe compiute da Cristo negli ultimi salienti momenti di vita. Alcuni di questi penitenti sono soliti percuotersi con
un antico strumento di tortura simile alla frusta. Uno dei momenti più suggestivo è quando, attraversato il ponte seicentesco che collega la città nuova al bordo antico, la statua della Madonna Addolorata si ferma su uno dei bastioni che affacciano sul porto ed il sacerdote benedice la popolazione ed i pescherecci.
Anche a Maglie, cittadina dell’entroterra salentino, la Processione dell’Addolorata è uno spettacolo degno di menzione: la statua della Madonna vestita di nero è accompagnata da un gruppo di “coriste”, vestite anch’esse a lutto. Molto particolare è la presenza di bambini, vestiti da Angeli o da Cristo, che portano piccole croci ed il corteo è accompagnato dalle tristi note del preludio del 3° atto della “Traviata” di G. Verdi, oltre che dalle preghiere dei fedeli.
A Francavilla Fontana, invece, i “Pappamusci” con la tonaca e incappucciati, scalzi e con un bastone in mano, iniziano il Sacro e antichissimo pellegrinaggio, visitando le chiese di Francavilla e pregando in ginocchio davanti al Repositorio detto “Sepolcro”. Tale rito è tramandato dai Frati Carmelitani, i quali, quando andavano in Terra Santa, accompagnavano i pellegrini a visitare i luoghi della Passione di Cristo.
A Galatina esiste anche il ricordo del “Pati Paticchia” (dal greco Pathos, patire) che rappresenta colui che flagellò il corpo di Cristo sulla croce. Anticamente la statua veniva esposta, ma i fedeli erano soliti percuoterla o danneggiarla, per punire il flagellatore di Cristo.
Nella notte fra sabato e domenica, infine, si celebra la solenne veglia pasquale, che, nella Chiesa cattolica, è la celebrazione più importante di tutto l’anno liturgico. In essa si celebra la resurrezione di Cristo attraverso la liturgia del fuoco: al fuoco nuovo si accende il cero pasquale, che viene portato processionalmente in chiesa; durante la processione si proclama la Luce di Cristo, e si accendono le candele dei fedeli. All’arrivo al presbiterio il cero è incensato e si proclama l’annuncio pasquale.
La Pasqua salentina a tavola

Le tavole salentine, a Pasqua, si colorano di piatti deliziosi e si sublimano in alcune ricette di dolci che legano la loro storia alla tradizione e al territorio con il quale condividono gli ingredienti principali, quali figli privilegiati dell’agricoltura locale.
Puddhica, puddhicasciu, cuddhura, palomba o palummeddhra, panareddhra, pupu cu l’ovu… Insomma, puoi chiamarla come vuoi ma è sempre lei: una ciambella di pane con un uovo sodo al centro, vera regina della Pasqua salentina. Secondo la tradizione, infatti, non c’è Pasqua e Pasquetta senza di lei: prima ancora di uscire di casa per la scampagnata in riva al mare, in campagna o in pineta, ci si assicura di aver preso la “colombina”.
Dalla portata principale al dessert, l’agnello pasquale domina le tavolate salentine. La preparazione più diffusa è l‘arrosto di agnello servito con patate, ma il dolce tradizionale è l‘agnello di pasta di mandorle, nota anche come pasta reale, che incarna lo spirito della celebrazione cristiana e rappresenta l’essenza culinaria del Salento. Quest’arte pasticcera affonda le sue radici nel XVII secolo quando, nei monasteri del Sud Italia, iniziò la produzione di pasta di mandorla.
Nel monastero di San Giovanni Evangelista a Lecce, intorno al Settecento, le monache più esperte creavano, durante la Pasqua, questo dolce che ha la forma di un agnello, insegnando la ricetta alle novizie. In tempi antichi, queste delizie venivano offerte esclusivamente al vescovo e agli individui più facoltosi.
Un altro capolavoro della pasticceria salentina è la cuddura, un dolce profondamente radicato nella cultura rurale, un tempo riservato ai tavoli dei meno abbienti e gradito ai pellegrini. Simbolo di rinascita e di abbondanza, viene donata fra amici e conoscenti come augurio di una felice Pasqua. La cuddura è un impasto morbido e intrecciato, simile a un tarallo, nel quale vengono inserite uova sode, avvolte dall’impasto.
Anche lo scarcagnulu ha un debole per “lu spazzatu“, una pietanza pasquale riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale. Questo piatto è una tradizione esclusiva dei Comuni di Gallipoli, Alezio e Sannicola. La leggenda racconta che nella notte delle Palme si cantano le Passioni davanti alle case di amici e parenti, e in segno di gratitudine si ricevono uova, che poi vengono usate per la preparazione dello spazzatu. Questo è uno stufato preparato con uova, pezzi di carne di agnello (talvolta sostituiti da manzo o pollame), arricchito da pane raffermo e formaggio.
Tra una boccone di agnello e un pezzo di cuddura, il nostro scarcagnulu si è concesso un vero e proprio banchetto e, come recita il detto, “panza china cerca riposu”. È giunto il momento per lui di concedersi un meritato riposo, ma prima gli abbiamo estorto una promessa: quella di continuare a svelarci i segreti del Salento, tra tradizioni e misteri, portandoci a sognare insieme a lui.